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Scacco a Dio
Sab 04 Lug 2009, 09:31

(Einaudi; pp.257;17.50 euro)
E se un giorno Dio, in piena crisi esistenziale, si travestisse da pittore del Rinascimento o da chitarrista rock, da trapezista o da cortigiana, per cercare di comprendere gli uomini, quelle sue creature ribelli che ormai gli sembra di non capire più?
«Credo che tutti gli uomini giochino a scacchi con Dio. Il problema è chiedersi se Dio lo permette o non lo sopporta»: così Roberto Vecchioni parla del suo nuovo romanzo, Scacco a Dio (clicca sul''immagine per ascoltare l'intervista all'autore).
L'inizio di Scacco a Dio
La prima volta si presentò vestito da pittore rinascimentale.
– Chiudi la porta e vieni dentro, – disse.
– Ma qui non c’è porta, – rispose Teliqalipukt.
– E tu fai finta che ci sia e chiudila.
Sistemò tavolozza, tele, colori, cornici e sgabello in bell’ordine e tirò un sospiro divino.
– E perché non pompiere, usuraio, guardia svizzera o, che so io, giocatore delle tre carte? – ironizzò Teliqalipukt.
– Taci, Teliq, è una cosa grossa, è una cosa grave: tu non puoi immaginare nemmeno lontanamente perché sono qui.
– Illuminatemi con la vostra sapienza.
– Sto male.
Teliqalipukt lo guardò. Doveva ridere o prenderlo sul serio? E come prendere sul serio uno che ti si presenta in velluto cachi e cappello a sbuffo, e comincia a far schizzi a carboncino mentre annuncia una catastrofe? E poi come doveva chiamarlo? Dio? Signore? Voi? Ella?
«Capirà se gli dico: si accomodi, si sfoghi, il bagno è di là?» Con Dio aveva sempre avuto contatti di natura eterea: si trasmettevano attimi d’estasi senza mai vedersi, così come si deve tra puri spiriti. Ma ora le cose cambiavano: cosa ci faceva Lui lì, nel tempo, camuffato da Bernardino Luini? O era il Mantegna?
Teliqalipukt era un immortale: Dio l’aveva scelto ab origine per vigilare sul mondo, per entrare di soppiatto nella vita degli uomini e guardare, osservare, capire, senza interferire col loro destino, coi loro propositi; e lui, di uomini, ne aveva conosciuti e seguiti a centinaia, a migliaia, nei secoli, fino a scoprire come cambiavano, cosa volevano, sapevano, speravano, fino a misurarne le miserie e i colpi d’ala, sempre presente quando sbagliavano, quando cadevano, attento al loro stupore infantile davanti alle scoperte, ai loro versi millimetricamente imperfetti nel dire gli orli della solitudine e l’esperienza della luce.
Era uscito dalla misura degli angeli; aveva assistito alla nascita della geometria, letto il primo libro, sentito sbuffare la prima locomotiva, visto Edison accendere una città intera, i fratelli Wright alzarsi increduli sulle loro ali di legno e poi... e poi...
Ancora quella stretta al cuore che non lo lasciava in pace: i suoi ragazzi, i suoi piccoli immortali! Da quanto non li vedeva? Da quanto non erano più con lui?
– Voi non potete stare male, Signore: dev’essere qualcos’altro, che so,
un ritorno di pensiero, una stasi d’immortalità; ma che dico, è
impossibile! Cosa... cosa vi sentite?
– Un infinito vuoto, una specie di nausea astrale, un sottosopra, una gran voglia di rompere tutto e ricominciare da capo.
– Piano, piano! Andiamo con ordine. Innanzitutto cosa ci fate qui, vestito in modo così ridicolo?
– Ridicolo? Io adoro il Rinascimento. Be’... diciamo che è una necessità, Teliq: non potevo certo sciorinarti quel che ho sul gozzo e ascoltare le tue prediche come puro spirito. Non esistono consigli e contraddittorio tra spiriti. Ci vedi, noi due, a chiacchierare per sospiri e lampi di luce? No, dovevo in qualche modo entrare nel tempo: nel tempo si possono usare i pensieri e le parole, come fanno gli uomini. Così, già che c’ero, mi son tolto lo sfizio di interpretare i ruoli che mi piacciono di più. Però, c’è un però, anche così non riesco a star fermo, non mi lascia questa fregola di creare –. E lo si vedeva bene: in dieci minuti aveva già dipinto venti nature morte e una pila di ritratti: particolarmente riuscito un Giuliano de’ Medici pugnalato in Santa Maria del Fiore con i Pazzi che fan finta di niente.
– E questo è chiaro, – riprese Teliqalipukt. – Ma cosa c’entro io in tutto ciò?
– Gli uomini, Teliq: nessuno conosce gli uomini meglio di te.
– Voi, Signore!
– Credevo, ma devo averli persi un po’ di vista negli ultimi tempi.
– Diciamo pure dall’inizio.
– Adesso mi sembri esagerato: io ho indicato loro in tutti i modi la strada da seguire, e non avevo dubbi sulla riuscita: sono o no a mia immagine e somiglianza?
– Qui sta l’inghippo. A immagine forse, benché sian molto più belli di voi; a somiglianza, lasciatemelo dire, neanche un po’. Quanto alla strada, mi pare che abbiate fatto un po’ di confusione.
– Ma se ho perfino mandato mio figlio!
– E perché l’avete mandato?
– Oh bella, perché sapessero che non li avrei mai abbandonati!
– Sbagliato!
– Sbagliato cosa?
– È stata una correzione, Signore. E una correzione significa che avevate commesso un errore e volevate porvi rimedio. Ma voi non potete
correggervi!
– Io ho solo voluto chiarire, insomma spiegare meglio quello che non riuscivano a capire.
– Il Vangelo è stato un atto di debolezza, una zappa sui piedi: voi dovevate dire ogni cosa nell’Antico Testamento. E che? Non c’era più spazio nelle tavole di Mosè? Lo si trovava: vi sembra un comandamento «Non desiderare la roba d’altri»? E che desidero? La mia? Sapete cos’è successo? Ve lo dico io: «Scusatemi, scusatemi, avete presente quella storia che se mi ciechi un occhio io cieco il tuo? Si scherzava, non è vero, anzi, bisogna farsi ciecare pure l’altro»! Vi sembra credibile?
– Be’, però il Vangelo ne ha avuto di successo!
– Una grande operazione di marketing, Signore: un bel mix di immagini strappalacrime e promesse elettorali. Un vero trappolone: «È vostro il regno dei cieli». Vedete del cielo, voi, qui intorno? Il cielo è tutta quella roba inutile laggiù in fondo che avete riempito di stelle: non sapete più che farvene! E vogliamo parlare di Maometto?
– No, no, lì ho sbagliato a non troncare subito, ma ne ho sottovalutato la portata. Io avevo in mente qualcosa di universale, per tutti, ma gli uomini si dividono in popoli e un popolo lo fai su facile se gli dici che da lassù si briga solo per lui. I popoli non guardano oltre il proprio cortile e sanno essere cattivi come i bambini sulla spiaggia:
«Questo secchiello è mio, la paletta pure». E allora ecco premi eterni concessi solo alla loro tribù, conventicola, ecco il divino a proprio uso e consumo, il Paradiso esclusivo vista mare.
– Se lo dite voi.
– Sì. Ma piantiamola con la teologia, Teliq, ché tanto non ci siamo tagliati. Il mio problema non è questo: il mio assillo è che mi sembra di perderli.
– Gli uomini?
– Oh, non tutti, ma forse proprio quelli a cui tengo di più. Sembra quasi che lo facciano per farmi dispetto: arrivati a un certo punto è come se spegnessero la stella che li guida, come se s’incidessero un’altra linea della vita sulla mano. No, non parlo di peccati, quelli son minuzie: dico il loro cammino, il corso del loro destino. Hanno un solco da seguire, un viaggio da compiere e improvvisamente lo cancellano, lo resettano, vogliono essere altri da sé; stropicciano le loro anime fino a rendersele irriconoscibili, si ribellano alla felicità. È come se in un’immaginaria scacchiera non accettassero più le diagonali di un alfiere, i salti di un cavallo, le rette di una torre, cioè le regole che conducono a quell’unica suprema bellezza che è il fine, e la fine. Non vogliono, non vogliono più: i cavalli escono dalla scacchiera, le torri volano in alto, i pedoni ripercorrono i propri passi, e in questo delirio, in questo gioco stravolto, ingannando lo spazio e barando con il tempo, spacciano ’sta falsa libertà per uno scacco a me, uno scacco a Dio.
Ecco cosa mi tormenta e cosa voglio capire: dove ho sbagliato? Come ho fatto a perderli? In un lampo affrescò quattordici scene della vita di sant’Eustorgio su un immaginario soffitto.
– Merita tanto?
– Chi? Sant’Eustorgio? No di certo, ma mi viene particolarmente bene –. Posò il pennello. – Tu, Teliq, sei stato sempre tra gli uomini e li conosci veramente. Devi raccontarmeli come sai, devi parlarmi di questo demone che li divora e spiegarmelo, per farmi uscire da ’sta crisi, e in fretta, perché se mi va in pappa la mente, qui sbaracchiamo tutti.

Per Einaudi ha pubblicato Viaggi del tempo immobile (1996), Le parole non le portano le cicogne (2000), Parole e canzoni (2002), Il libraio di Selinunte (2004 e, con una nuova prefazione in forma di racconto, 2007), Diario di un gatto con gli stivali (2006) e Scacco a Dio (2009). Per Frassinelli è uscito il libro di poesie Di sogni e d'amore (2007). È docente di Forme di poesia per musica presso l'Università di Pavia e tiene un corso alla Sapienza di Roma.
Fonte: einaudi
Foto prese dal sito del SecoloXIX
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